domenica 20 settembre 2015

I reali Roberto d’Angiò e Sancha di Majorca.

Roberto d'Angiò e Sancia di Majorca- miniatura dalla Bibbia Angioina 1340 ca. - Leuven, Belgio, Biblioteca Universitaria

Tra i sovrani angioini che hanno fatto grande il Regno e la città di Napoli il posto d’onore va sicuramente a Roberto D’Angiò e sua moglie Sancha di Maiorcache hanno lasciato stupende testimonianze architettoniche e spirituali.
Roberto d’Angiò fu il terzo sovrano angioino di Napoli, dopo suo nonno Carlo I e suo padre Carlo II. In realtà il trono non spettava a lui, figlio quartogenito e terzogenito maschio di Carlo II e Maria d’Ungheria, ma a suo fratello primogenito Carlo Martello, che però morì nel 1295.  Alla morte di Carlo Martello il trono spettava al secondogenito Ludovico, il quale rinunciò ai suoi diritti al trono, preferendo farsi frate minore. In seguito a queste morti e rinunce, il trono sarebbe dovuto toccare a Carlo Roberto, figlio primogenito di Carlo Martello il quale, però, nel 1310, divenne re d’Ungheria e lasciò Napoli per prendere possesso del suo regno. 

Roberto aveva vent’anni e il titolo di duca di Calabria quando nel 1297, per ragion di Stato, sposò Violante o Jolanda d’Aragona, figlia di Pietro III d’Aragona e di Costanza Hohestaufen, a sua volta figlia di quel Manfredi che suo nonno aveva sconfitto a Benevento nel 1266.
Roberto e Violante ebbero due figli: Carlo e Luigi
Lo scopo di questo matrimonio era chiaramente quello di favorire un’interruzione delle ostilità tra le due casate sulla rivendicazione della Sicilia ma, nel 1303, poco dopo la pace di Caltabellotta firmata il 31 agosto del 1302, Violante morì di malaria mentre era al seguito del marito al comando delle truppe angioine che avevano invaso la Sicilia. Con la pace di Caltabellotta a conclusione della Guerra del Vespro, gli Angioini persero definitivamente la Sicilia e il Regno fu diviso in due unità: Regno di Sicilia al di qua del faro (Regno di Napoli) in mano agli Angioini, e Regno di Sicilia al di là del faro (Regno di Trinacria) in mano agli Aragonesi.

Alla morte di Violante, la ragion di Stato impose a Roberto di sposarsi di nuovo. 
Continuando la politica di Carlo II d’Angiò, il quale intendeva isolare i suoi nemici aragonesi di Sicilia, togliendo loro l’appoggio degli aragonesi di Spagna, la scelta cadde sulla giovane  Sancha, figlia di re Giacomo II di Maiorca e cugina di Violante. 
Allo stesso tempo, Maria, sorella di Roberto, sposò Sancho d’Aragona, fratello di Sancha, Con questo doppio matrimonio tra fratelli, la casa angioina rafforzò i rapporti tra la corte angioina di Napoli e i sovrani d’Aragona e di Maiorca, isolando ancora di più gli aragonesi di Sicilia.

Cresciuta ed educata  nello stretto spirito francescano, Sancha avrebbe preferito per sé una vita claustrale e non era molto contenta di questo matrimonio. Tuttavia, per ubbidienza al padre, acconsentì a sposare Roberto, anche perché il suo futuro marito era egli stesso un convinto sostenitore del movimento mendicante. 
Sancha aveva già incontrato Roberto nell’autunno del 1295, nel Castello di Siurana de Prades, presso Barcellona, dove egli era prigioniero degli aragonesi, insieme ai suoi fratelli Raimondo e Ludovico, ma le nozze giunsero inaspettate.

Nel 1305 Sancha e Roberto si sposarono e nel 1309, ad Avignone, per mano del papa Clemente V, furono incoronati Re e Regina di Sicilia e di Gerusalemme. Dal loro matrimonio non nacquero figli. Non se ne conosce il motivo: forse per una sterilità della regina o forse per la scelta della stessa di mantenersi casta per lo Sposo Celeste. Questa seconda ipotesi è la più accettata dagli storici.  
Si conosce infatti che, su concessione del papa Clemente V, già dal 1311 Sancha teneva con sé, nei suoi appartamenti, due clarisse scelte dal ministro generale dell’ordine e questo fa capire quale aspirazione serbasse in cuore una donna che si era votata totalmente alla spiritualità. Inoltre, risultano abbastanza significative due lettere del papa Giovanni XXII, indirizzate a Sancha, in cui il pontefice esorta la sovrana a tenere fede ai suoi doveri coniugali. 
Le due lettere, l’una del settembre del 1316 e l’altra dell’aprile del 1317, hanno più o meno lo stesso contenuto, ma si conosce integralmente solo la seconda. 
In questa lettera il papa si rivolge a Sancha, sottolineandole come “il nemico del genere umano sovente inganni gli incauti sottoforma di bene...” e le dice ancora che, pur sapendo come ella disprezzasse le cose mondane e nutrisse un desiderio enorme di unirsi all’Agnello immacolato, tuttavia non poteva offendere lo sposo terreno ai cui voleri ella era soggetta. D’altra parte, avvenuta la consumazione del matrimonio, un voto di castità va ritenuto inaccettabile senza il consenso del marito. Il pontefice ricorda a Sancha il senso e il valore del matrimonio cristiano: la moglie deve assistere ed aiutare spiritualmente e materialmente il coniuge e deve generargli figli, evitandogli così di incorrere nel vizio dell’incontinenza. Il pontefice conclude augurandosi che, vista la giovane età di entrambi, essi possano conseguire grazie da Dio e prole.(1)

La missiva del papa è stata considerata da molti studiosi come la risposta ad una richiesta di divorzio avanzata da Sancha. Le motivazioni per una simile richiesta, ancora una volta, sono state individuate o in una impossibilità fisica della sovrana a generare o nella convinta adesione alla castità francescana o anche come la reazione ai continui tradimenti di Roberto.
Nella stessa lettera, il pontefice esorta anche Roberto ad abbandonare le cattive compagnie, ma il fatto che il pontefice allusivamente ritenesse il libertinaggio di Roberto come conseguenza del comportamento di Sancha, la dice lunga su quale poteva essere il comportamento della regina.

Se la moglie gli si negava, altre donne gli si concedevano con piacere e Roberto, da buon re,  sapeva cogliere l’occasione. Oltre ai due figli legittimi avuti dalla prima moglie Violante, ebbe almeno due figli naturali dalle sue amanti: 1) la Fiammetta (Maria D’Aquino), di cui si innamorò il Boccaccio nel 1336 in San Lorenzo a Napoli, avuta nel 1314 probabilmente da Sibilletta di Sabran, moglie di Tommaso d’Aquino, conte di Acerra; 2) Carlo d’Artus, conte di Santagata, morto nel 1370, avuto da Guglielma di Cantelmo, moglie di Bertrando d’Artus, e familiare nonché cameriera di Sancha.

Il richiamo del papa ottenne l’effetto voluto: Sancha abbandonò i propri propositi ascetici e si dedicò a servire Dio in modo molto più concreto e tangibile, mediante la costruzione di chiese e monasteri.

Se tra i due sovrani non si sviluppò passione amorosa, si sviluppò tuttavia una reciproca stima che li portò ad essere l'una aiuto dell'altro. Roberto trovò in Sancha un'ottima collaboratrice e a lei personalmente affidò il controllo e la supervisione delle costruende chiese, nonché la possibilità di muovere i capitali necessari. La comune inclinazione verso il francescanesimo li rese i protettori dell’Ordine, a cui sarebbero state accordate larghe sovvenzioni e speciali incarichi.

Molto probabilmente Sancha aveva progettato fin da subito di stabilire a Napoli un cenacolo francescano e questo le fu possibile grazie alla compiacenza del re suo marito, che non le rifiutava mai nulla e che le assegnò moltissimi beni, con rispettive rendite. Con tali rendite a disposizione, la regina Sancha diede subito concretezza al suo sogno di costruire un monastero francescano.
Nel 1310 fu iniziata la costruzione di una chiesa dedicata all’Ostia Santa a cui sarebbero stati annessi due monasteri, uno per le clarisse e l’altro per i frati. Il complesso monumentale, dopo le denominazioni di Ostia Santa e Corpo di Cristo, fini per chiamarsi semplicemente S. Chiara, nome con cui è conosciuto ancora oggi.

Per finanziare la costruzione del monastero dell’Ostia Santa da affidare alle clarisse, il 6 giugno del 1313 re Roberto assegnò alla moglie la rendita di duemila once d’oro annue  provenienti dalle rendite di città, terre e feudi di regio demanio.
Tra i beni assegnati alla regina in Terra di Lavoro e Contea del Molise figurano: la città di Sessa con 100 once l’anno; il castello di Palma con la rendita di 100 once l’anno; la Rocca di Mondragone, appartenuta al milite Bartolomeo Siginulfo di Napoli, con 100 once l’anno; il feudo di Telese, dello stesso Siginulfo, con il casale di Pugliano, con  rendita di 140 once l’anno; il casale di Teverola con 40 once l’anno; beni appartenuti al defunto Giovanni Torsivacca in Aversa, con rendita di 33 once l’anno; i beni appartenuti a Guglielmo Camerlengo nello stesso territorio, con rendita di 40 once l’anno, e tanti altri beni ancora.  Tra il 1313  e  il 1330 l’appannaggio della Regina fu portato a ben 5000 once d’oro annue. 

Sancha  usò il suo appannaggio non solo per la costruzione di chiese e monasteri maschili e femminili, ma anche per la costruzione di case di recupero per giovani donne di malaffare e il mantenimento di comunità religiose in difficoltà. 
Non è escluso che il Monastero della Maddalena di Carinola, ora molto fatiscente, sia stato edificato nell’ambito di questo piano di costruzione di chiese e recupero di anime, così come era avvenuto per Napoli dove, nel 1324, Sancha fondò un ospizio dedicato a Maria Maddalena, il Malpasso, per donne di facili costumi che si fossero ravvedute. Dopo pochi anni l’ospizio diventò un vero e proprio monastero femminile a cui, alla  morte del marito Roberto e prima di ritirarsi definitivamente nel monastero della Santa Croce nel 1344, Sancia lasciò, con atto rogato dal notaio Giovanni Carroccello di Napoli, moltissime proprietà.

Ma il risultato più eclatante per l’impegno dei due sovrani venne raggiunto senz’altro con il riscatto dei Luoghi Santi e l’edificazione di un convento francescano presso il Santo Sepolcro, riscatto riconosciuto pubblicamente dal papa Clemente VI nella sua bolla Gratias agimus, datata Avignone 21 Novembre 1342,  diretta al  ministro generale dell’ordine dei minori e a quello di Terra di Lavoro, contenente in sostanza, l’atto di costituzione della Custodia di Terra Santa. Inoltre, il papa elargì un ulteriore diploma pontificio ad perpetuam rei memoriam con la stessa data, che riconosce ai sovrani e ai loro successori una specie di patronato con facoltà di scegliere tre laici che serviant et necessaria administrent ai dodici frati minori deputati al servizio divino della Chiesa del Santo Sepolcro di Gerusalemme.
I negoziati per il riscatto vennero condotti al Cairo, a partire dal 1332-33, dal frate minore aquitano Roger Guerin, che trattò personalmente con il sultano mamelucco d’Egitto An-Nasir Muhammad, sotto il diretto patrocinio di Roberto e Sancia, i quali fornirono cospicue elargizioni di denaro al sultano stesso. 
I luoghi concessi dal sultano furono il Monte Sion, Betlehem, il Santo Sepolcro di Cristo e la chiesa della Vergine Maria nella valle di Iosafat. Secondo L’Anonimo Francescano Tedesco che visionò la documentazione originale nel 1427, l’operazione sarebbe costata ai sovrani 20.000 ducati d’oro, mentre invece il domenicano tedesco Fabri nel 1483 parla di 32.000 ducati d’oro. 
Nel 1842, padre Cherubino da Cori, Custode di Gerusalemme, scopri documentazione relativa ad un deposito di 5 milioni di scudi effettuato da Sancha e da Roberto presso i banchi napoletani per i bisogni di Terra Santa.

Roberto morì il 16 gennaio 1343, dopo 34 anni di Regno. Sancha lo segui due anni dopo, il 28 luglio del 1345. Le loro tombe si trovano nella Chiesa di Santa Chiara, a Napoli.
                                                                            cdl



(1). (….) scimus te mundana pia magnanimi tate contenere et ad immacolati Agni nuptias totibus viribus anhelare, (….) sed nec ignoramus te charissimi in Christo filii nostri Roberti regis Siciliae viri tui sic pro lege matrimonii subijci potestate quod nec vovendo nec alis aliquid faciendo quod isi matrimonio deroger habes tui corporis potestatem…(….) et licet coelesti sponso placere desideres, oculos tamen terreni sponsi non debes offendere: quin potius servata pudicitia coniugali te sibi placidam et irreprensibilem exhibere. Nec tibi suadeat aliquis quin omnia hujusmodi vota post matrimonium carnali copula consummatum emissa sine consensu viri sint penitus reproba gravibus plena pericoli et ipsius conjugij istitutori molesta….”


 Alcuni testi consultati
A. Palumbo – M. Ponticello - Il giro di Napoli in 501 luoghi – Napoli, 2014
Adriana Valerio (a cura di) – Archivio per la Storia delle donne – vol. 1, Napoli, 2004
Bruno d’Errico – Tra i Santi e la Maddalena – pubblicazione su Internet
C. Caterino – Una Beatrice francescana della Corte Angioina – Napoli, 1927
C. De Lellis – Discorsi delle famiglie nobili del Regno di Napoli – Napoli, 1671
Enrico Artifoni – Storia medioevale – Roma, 1998        
Francesco Abbate - Storia dell'arte nell'Italia meridionale: Il Sud angioino e aragonese – Roma, 1998
G. Battista Siragusa – L’ingegno, il sapere e gli intendimenti di Roberto d’Angiò – Palermo, 1891
M. Camera -  Annali delle due Sicilie – vol. 2 – Napoli, 1857
Nicoletta Grisanti – Francescanesimo e cultura nella provincia di Catania – Palermo, 2008
Romolo Caggese – Roberto d’Angiò e i suoi tempi – vol. I – Firenze, 1930
Samantha Kelly – The new Salomon: Robert of Naples – Leiden, Netherland

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